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(da La Provincia del 25 marzo 2021 –  di Riccardo Maruti)

Il direttivo: «Il nuovo decreto non risolve nulla. Siamo allo stremo, per ripartire serve ben altro»

Sostegni di nome, ma non di fatto. Perché il decreto-legge approvato venerdì scorso contiene «misure inconsistenti per i pubblici esercizi, messi in ginocchio dalla crisi economica»: lo affermano all’unisono i componenti del consiglio direttivo di Fipe-Confcommercio Cremona, riuniti in assemblea per un confronto sulle prospettive della categoria. Mai così fosche. «I numeri sono impietosi — spiega il presidente, Alessandro Lupi—. Un ristorante tipo con un fatturato annuo di 550 mila euro che abbia accumulato una perdita del 30%, ovvero 165mila euro, riceverà un contributo una tantum di 5.500 euro». Una proiezione che è lo specchio dell’esiguità degli aiuti messi in campo: «La situazione è drammatica — commenta Emiliano Bruno, vicepresidente di Fipe —. A gennaio e febbraio non abbiamo ricevuto neppure un euro e i fondi in arrivo, a dispetto delle aspettative cariche di fiducia, sono nient’altro che briciole». Secondo i calcoli del direttivo cremonese di Fipe, per assicurarsi una ripartenza dignitosa le attività dovrebbero percepire «il 20% delle perdite di fatturato che si sono sommate a partire dallo scoppio della pandemia». Al contrario, restano pesanti debiti da sanare —tra merci, affitti e imposte— che rappresentano una zavorra insostenibile. «Molte attività non ce la fanno più —dichiara Luca Babbini —. Eppure il nostro onesto contributo copre il 30% del fatturato totale del Paese. Oltretutto buona parte della popolazione non riesce a comprendere quanto sia difficile la situazione che stiamo vivendo ed è convinta che lo Stato ci stia coprendo di soldi per rimanere chiusi». Come dire: oltre al danno, la beffa.

Ora siamo esausti. Senza risposte adeguate molti di noi saranno costretti a gettare la spugna

«Il quadro è avvilente —prosegue Babbini —. Abbiamo investito per la salute e il bene dei cittadini e siamo rimasti zitti e buoni affidandoci alle promesse delle istituzioni. Promesse che, però, non sono state mantenute. Ora siamo esausti. Ci rivolgiamo ancora una volta allo Stato: senza risposte adeguate molti di noi saranno costretti a gettare la spugna». Alle enormi difficoltà economiche si aggiunge lo stress psicologico: «Di fatto da novembre ad oggi siamo stati obbligati a chiudere per cinque mesi consecutivi —sottolinea Paco Magri—. I rari sprazzi di lavoro hanno costituito più che altro un esborso, perché mettere in moto un’attività ristorativa ì significa spendere e investire. Ora i soldi sono finiti. Come possiamo ripartire?».

L’appello rivolto al Comune: «Chiediamo coraggio. Non possiamo pagare bollettini con more salate»

L’ultima mazzata arriva dal fronte delle imposte comunali: «Stiamo ricevendo bollettini con more comprese tra il 30 e il 40%sulle tasse che non siamo riusciti a pagare —denunciano i membri del direttivo di Fipe —. L’amministrazione comunale ha cercato di venirci incontro nella prima fase della pandemia, ma in questo momento quasi nessuno di noi ha la forza economica per onorare i pagamenti. Il dialogo con gli amministratori è aperto, ma abbiamo assoluto bisogno di risposte tempestive. Al Comune chiediamo un po’ di coraggio, così come alla Prefettura, a cui abbiamo indirizzato diverse istanze tra cui quella sulla possibilità per i ristoranti di svolgere il servizio mensa». Gli esercenti si appellano al Comune anche in vista della stagione estiva: «Nella speranza di poter riaprire —osserva Giampiero Zanetti —vorremmo sapere se ci verranno concessi o meno i plateatici gratuiti. Per noi programmare è essenziale: non possiamo permetterci di attendere ancora a lungo». Intanto, gli sforzi estremi della categoria convergono in un’alleanza di respiro regionale: «Le Fipe della Lombardia e stanno costruendo un coordinamento per rivendicare tutele e garanzie—spiega il presidente Lupi —. Nessuna ipotesi è esclusa: la nostra voce non può rimanere inascoltata»

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