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(da “La Provincia” del 7 febbraio 2022 – Inchiesta “La Cremona del futuro”)

CREMONA  – È uno dei settori più in sofferenza, il commercio. Ed è da quello, pensando al futuro di Cremona, che si deve partire secondo Eugenio Marchesi, presidente di Botteghe del Centro.
«Viviamo con preoccupazione una deriva che la pandemia ha ulteriormente accelerato, quella dell’impoverimento del tessuto urbano, non solo sul fronte delle attività ma anche su quello delle relazioni, della cultura e della partecipazione. La costante contrazione dei transiti pedonali è un indicatore che più volte abbiamo portato alla attenzione degli amministratori. E che non ha mai trovato l’attenzione che meritava. Non si guarda con obiettività alla situazione, si evidenziano solo le opportunità. Invece a Cremona ci sono luci e ombre. E purtroppo sono piuttosto evidenti».

Un allarme, il suo, che va oltre al commercio.
«Va fatta una premessa: crediamo in Cremona e nel suo rilancio. Ma invitiamo a mettersi al lavoro subito per far ripartire la città e a farlo con determinazione, concretezza e tempestività. Più volte abbiamo lanciato l’allarme e invitato alla collaborazione. Pensare che le difficoltà del commercio siano scollegate o non largamente sovrapponibili con quelle della città è sbagliato.  È una scorciatoia per non affrontare il problema. Una città ha bisogno di agire su tante leve di sviluppo, su tanti attrattori. I negozi sono sicuramente una parte importantissima e irrinunciabile. Ma sono pur sempre una parte. Da soli non possono far vivere Cremona. Troppe volte (ingiustamente) si è provato ad addossare alla nostra categoria più responsabilità di quante non ne abbia. Anzi credo che, proprio per le difficoltà della città, il nostro impegno sia stato ancora più eroico».

Ma non ci sono solo le vetrine vuote…
«No, stiamo impoverendo anche i servizi. L’ultima conferma è stata la decisione di spostare la sede del provveditorato. Pensiamo alla storica sede Inps di Piazza Cadorna, da tempo in vendita, o agli uffici dell’Aem in viale Trento e Trieste. O, ancora, alla Banca d’Italia e alla ex sede della Provincia in via Dante. Senza pensare che anche gli Istituti di credito stanno riducendo gli sportelli, o a tante altre attività che preferiscono spostarsi in periferia. O, ancora, al cinema Tognazzi, il cui progetto di recupero è stato annunciato ma sembra ormai abbandonato. Vanno capite le ragioni di questo esodo, e devono essere introdotte strategie correttive. L’animazione di una città, soprattutto nel quotidiano, ha bisogno di un corretto mix di fattori, di attrattori. Ogni volta che viene meno un elemento trainante, indipendentemente dal fatto che sia legato allo shopping, alla cultura o ai servizi, il contraccolpo viene avvertito da tutto il sistema» .

Ci sono altri indicatori che la preoccupano?
«Nelle ultime settimane abbiamo letto la presa di posizione del comitato del centro, o anche di tanti residenti, che lamentavano problemi legati alla pulizia, all’illuminazione, alla sicurezza. Sono testimonianze (da non trascurare) di una città che è meno piacevole da vivere».

Quindi?
«Quindi come cittadini, prima ancora che come imprenditori, rilanciamo l’appello all’amministrazione a garantire, con maggiore attenzione, la pulizia del centro. Così come è importante la cura degli arredi urbani, degli spazi pubblici rendendoli accessibili e garantendo la sicurezza. Pensiamo a piazza Cittanova, davvero strategica per il rilancio di Corso Garibaldi, deturpata da colonnine di ogni tipo. Infine l’illuminazione: troppe vie sono buie. Una deriva che è un deterrente alla fruizione e animazione del centro. È un appello così trasversale che non può essere ignorato. Giudichiamo la città sporca, trascurata: un fattore che ha una incidenza pesante anche sulla percezione che ne hanno i visitatori o comunque gli utenti del centro. Una dimensione che non si concilia per nulla con la vocazione turistica che si vorrebbe e si dovrebbe dare a Cremona. Gli interventi di questi anni sono stati parziali e frammentari. Così non va».

Il risultato?
«Molte attività stanno stringendo i denti, sperando di ritrovare, quanto prima una normalità che, invece, appare sempre più lontana. E il bilancio vero sul costo economico della pandemia lo faremo solo tra qualche mese. Dalla crisi sanitaria rischiamo di scivolare in quella economica. E le conseguenze rischiano di essere particolarmente severe per quelle realtà, come la nostra, che si presentano più fragili. Occorre andare, anche nel definire lo stato di salute del settore, oltre i numeri. Non basta il saldo tra aperture e chiusure. L’indagine deve essere più profonda e consapevole. Se guardiamo alle tante aperture di distributori automatici capiamo che c’è un impoverimento del mix merceologico o della stessa identità del centro. Così come non possiamo gioire troppo delle nuove attività alimentari legate alle mode del momento. C’è un turn over troppo veloce. Le imprese nascono ma non riescono a sopravvivere» .

Il 60% delle attività che aprono chiudono entro i primi due anni.
«Due imprese su tre: è una percentuale troppo elevata».

C’è ancora voglia di fare impresa, di mettersi in proprio, di avviare una attività a Cremona?
«Sì e questo è un patrimonio che va valorizzato e sostenuto, soprattutto se la priorità è quella dello sviluppo e della ripartenza. Occorre capire quali sono gli ostacoli da rimuovere, qual è il contributo che ciascuno può dare. Significa lavorare sul sostegno nel tempo alle start up, sui temi del credito, della fiscalità locale. Ma poi anche la città deve essere resa più attrattiva e vitale».

Come Associazione avete sempre attribuito grandi responsabilità al proliferare dei centri commerciali. Vale ora più che mai?
«Lo squilibrio è sempre più evidente. Quello della media e grande distribuzione è un assedio che si fa sempre più opprimente. E che va fermato. Non può essere, quella di concedere nuove autorizzazioni per poli commerciali, l’unica via per riqualificare aree dismesse. Una scorciatoia che ha un costo elevatissimo per il sistema economico e, dunque, per la comunità. Oggi le aree commerciali sono entrate nel tessuto urbano e lambiscono il centro: non è più sostenibile o legittimabile. La città, piuttosto, deve ritrovare ambizione, credere in progetti più elevati».

È possibile?
«Sì se si lavora rafforzando la sinergia con il privato. Anche questa amministrazione, con l’impegno per le nuove sedi universitarie ha dimostrato che è una via percorribile. Ritroviamo l’orgoglio e la coerenza di valorizzare una città bella e affascinante, partendo dalle sue identità e rileggendole con dinamismo, declinandole in modo ampio, dalla formazione al turismo».

Proprio su questi interventi di alto profilo si è concentrata, nei giorni scorsi, la riflessione dell’Assessore al Commercio, Barbara Manfredini.
«Condividiamo l’impegno che abbiamo ritrovato nelle parole dell’assessore Manfredini e, prima, del vicesindaco Virgilio. Ma non possiamo pensare che siano sufficienti a risolvere il problema del futuro della città. Lo ribadiamo: ci sono criticità che vanno comunque affrontate e risolte nel breve periodo. Altrimenti ci riduciamo alla logica della coperta corta».

Le priorità?
«Innanzitutto riportare gente in centro, soprattutto nel quotidiano. La pandemia ha accelerato una deriva che vede il centro sempre meno luogo di relazioni e incontri. Fino a qualche tempo fa c’è stato un proliferare (forse eccessivo) di pubblici esercizi. La città, almeno nelle ore serali, si animava. Oggi anche questa dimensione sembra compromessa. È innaturale che i nuovi luoghi di ritrovo dei giovanissimi siano all’interno dei poli commerciali. È fondamentale il ripensamento dei piani della sosta e della mobilità urbana. Bene, dunque, la transizione ecologica, ma oggi, per chi arriva in centro è oggettivamente difficile trovare un parcheggio. E, se si riesce ad accaparrarsi uno stallo blu i costi sono elevati. Anche questo è un problema ormai cronicizzato».

Cosa proponete?
«Va aumentato, per quanto possibile, il numero degli stalli. Si individuino nuove aree, ad esempio nel blocco di San Francesco e dell’Ospedale vecchio o riprendendo l’idea del raddoppio del Villa Glori. Si pensi ad aree importanti ma anche a ricavare parcheggi più ridotti capaci di contenere venti o trenta automobili. E poi si cerchi di favorire, incentro, la sosta dei city user. Vanno rilanciati i parcheggi corona, utilizzando navette per un continuo collegamento con il centro, magari gratuite. È chiaro che va consolidata una nuova modalità di fruizione della città. Oggi, benché dal Foro Boario o dal Massarotti a Piazza Duomo bastino una ventina di minuti a piedi questo viene percepito come un deterrente dai fruitori della città. Non siamo a Milano: in una città piccola come Cremona tradizionalmente ci si attende di arrivare davvero a ridosso di piazza Duomo. Siamo pronti a lavorare insieme all’amministrazione per dare forza ad un accesso più responsabile al centro. Ma se pensiamo di convincere la gente a usare gli attuali parcheggi corona per poi raggiungere il centro a piedi, abbiamo già fallito l’obiettivo. E, in un’ottica di accesso green, chiediamo se sia sempre vantaggiosa e attuale l’idea di bloccare l’attraversamento della città».

Fin qui le ombre. Ma ci sono anche luci? Quali sono?
«L’impegno per rafforzare l’offerta universitaria e della formazione musicale: hanno potenzialità straordinarie. Ma, lo ribadisco, non c’è il tempo di aspettare che si realizzino appieno, per poter acquisire l’identità di città con una forte presenza universitaria. Lo slogan #incontriamociacremona deve mettere al centro la nostra comunità che purtroppo non vede più nel centro il cuore pulsante delle relazioni umane, culturali, economiche. Diciamo che esprime un obiettivo più che una istantanea di oggi».

Gli eventi possono aiutare?
«Come Confcommercio e Botteghe siamo i primi a lavorare per valorizzare la citta, a promuoverne la bellezza. Lo abbiamo fatto con progetti di qualità. Pensiamo a StradeeJay, ma anche alle Invasioni Botaniche o alle Luminarie parlanti d’Autore dedicate a Mina. Altro fronte è quello legato al turismo, soprattutto culturale che richiede uno sforzo più marcato. Se guardiamo, ad esempio, a Brescia che con Bergamo e capitale italiana della cultura, o al livello raggiunto dal Festival Verdi a Parma, resta il rammarico di occasioni sprecate»

Da recuperare come?
«Valorizzando la capacita di dialogo, di confronto, di valorizzazione delle esperienze. Penso al Tavolo del Duc: deve acquisire più autorevolezza, diventando realtà di indirizzo anche su altri settori, dalla mobilita alla sosta fino alla pianificazione strategica in ambito urbanistico. Occorre partire dalla consapevolezza che c’è un obiettivo comune: quello del rilancio della città. Non si pensi che si voglia lavorare solo per tutelare interessi di categoria. La coesione e fondamentale perché un territorio possa essere protagonista consapevole del proprio futuro, perché lo decida e non lo subisca. E poi va superata l’autoreferenzialità, perché porta all’isolamento. Faccio un esempio: non basta proclamarsi capitale del Po. Pensiamo, invece, a progetti sul turismo che potrebbero essere più significativi se condivisi anche con altre province, a partire proprio da Piacenza».

In questi due anni le città d’arte hanno sofferto.
«E anche Cremona, che già segnava il passo in precedenza. Anzi, pur avvertendo qualche segno di miglioramento non possiamo nascondere che la ripresa, nel 2021, di Mantova o Parma sia stata più significativa della nostra. Crediamo che anche il 2022 più che un anno di vera ripartenza ci consegnerà ancora mesi di resilienza».

Ce la possiamo fare?
«Dobbiamo e vogliamo farcela. Cremona ha potenzialità straordinarie. Credo che la nostra categoria, forse più di chiunque altro, ogni giorno dimostri di credere nella citta, di amarla, di volerla far crescere. Vogliamo continuare ad avere vetrine fisiche oltre a quelle virtuali che abbiamo realizzato in questi mesi della pandemia. Prendo spunto proprio da questo sforzo di innovazione: alla citta e richiesto lo stesso impegno per ritrovarsi, rileggere la propria identità, rilanciarsi».

Mettendo al centro?
«Le persone, le relazioni, i valori condivisi».

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