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Raccolti da Maria Luisa Mondoni in Coelli in un’intera esistenza
La collezione dei presepi della famiglia Coelli è davvero ricca ed importante. Una ottantina di pezzi, parte di una raccolta più ampia che ha preso forma – in una vita intera – dalla passione di Marialuisa Mondoni (in Coelli). “La prima statuina – dichiara Francesca Coelli – fu il regalo di fidanzamento di nostro padre alla mamma. L’ultimo l’abbiamo acquisto, per lei, lo scorso Natale a Insbruck, pochi mesi prima che il Covid ce la strappasse”. “Nella attenzione alle natività – continua – c’era non solo una testimonianza di fede ma anche il voler ribadire l’unione della nostra famiglia, il suo valore. Sentimenti che, nonostante, il dolore della perdita oggi sono ancora più forti. Abbiamo scelto di esporli, ed è la prima volta, per ricordare la mamma ma anche perché convinti che Lei stessa sarebbe stata orgogliosa di contribuire a sostenere un progetto bello e importante come quello di Occhi Azzurri, che dona speranza, che si rivolge al prossimo e che vuole offrirsi come bene comune alla nostra città”. “Nel catalogarli e nello scegliere quelli da presentare a Palazzo Vidoni, con le mie sorelle, abbiamo rivissuto la nostra stessa esistenza, perché non c’era viaggio in cui non si pensasse ad ampliare la collezione, con un nuovo pezzo unico, spesso realizzato appositamente da un artigiano locale”.
Presepi da ogni regione d’Italia e dal mondo
“Bellissima cosa il presepio. – scriveva il pontefice Paolo VI – Ci fa tutti saggi, tutti commossi e comprensivi, davanti ai sommi valori umani e religiosi che si tentano di rappresentare”. I pezzi esposto provengono da ogni regione d’Italia e dai cinque continenti. Nei presepi realizzati dalle popolazioni d’Africa, o d’Europa, o, dell’America latina, o del Giappone o del Vietnam, o del Sud America, sono riconoscibili il contenuto della unica e comune “Fede” in Cristo Salvatore e il grande “Mistero” della Sua nascita, ma nel contempo i dati essenziali e significanti della propria specifica cultura che, nell’accoglienza dell’Annuncio non ha perso la propria identità. San Giuseppe e la Vergine hanno i costumi tipici della Sardegna nella ceramica che proviene da quell’isola. Analogamente gli artigiani del Trentino hanno scelto l’abete delle loro montagne per raffigurare la sacra famiglia. C’è la terracotta di Matera con una grotta che sembra scavata nel tufo. O le conchiglie e il colore del corallo nel presepe che arriva da Sciacca. La stessa contaminazione si legge nelle opere che arrivano da ogni Paese del mondo. Dall’Africa arriva la natività intagliata nell’ebano. Le figure sacre della Russia rievocano le matrioske (rafforzando quasi in senso della natività). Ci sono culture e tradizioni che si incontrano e dialogano. Come nei presepi della Polonia, che riflettono l’iconografia cattolica (nel legno) e quella ortodossa, con i mosaici dai colori accesi. O la pittura (all’interno di un uovo) della Romania, così vicina alle icone. Prende forma un Natale che supera i confini spaziali e temporali. Come nel presepe proveniente dagli Stati Uniti, con la capanna che lascia il posto alla tenda degli indiani d’America. C’è anche una pagina cremonese, con un’opera realizzata nel vetro e una sacra famiglia quasi cesellata in un violino in miniatura. Scrive Janet Graham “Fare un presepe è, di per sé, un atto di riverenza;/è una preghiera viva, forse la più universale/ di tutte le preghiere del Natale”.
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