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di Maura Rastelli, presidente Terziario Donna Confcommercio Cremona
Serve tornare al lavoro ma, per le imprenditrici, c’è anche il problema della gestione dei figli
Come imprenditrici di Confcommercio siamo preoccupate per la situazione, soprattutto per numeri (su contagiati e vittime) che non accennano a rallentare. Di questo passo risulta impossibile pensare ad una «fase 2». Di una seppur timida ripartenza si parla con sempre maggiore insistenza. Senza avere ottenuto significativi risultati nel contenimento del virus e senza aver previsto quelle condizioni che possano renderla sostenibile. Guardiamo a questo tema, e in particolare alle questioni che attengono la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della vita familiare, con particolare apprensione. Faccio riferimento alle scuole che continuano con la didattica a casa, alla mancanza di centri estivi, ad un ritorno sui banchi – con la ripresa autunnale – con modalità diverse rispetto a quelle di oggi.
Ripartire per evitare la morte delle imprese e della città
Ugualmente siamo convinte che sia necessario trovare la forza per rimettere in moto le nostre attività. Fino ad ora sono mancate le misure necessarie a garantire la sopravvivenza delle imprese. Il perdurare del “blocco” rischia di far passare troppe attività economiche da uno stop temporaneo ad uno definitivo. Con pesantissime conseguenze anche dal punto di vista della occupazione e del disagio sociale. Ma anche della stessa qualità della vita garantita in città. Come imprese stiamo facendo ogni sforzo per essere pronti alla “fase 2”. Sono certa sapremo realizzare tutte quelle misure necessarie a rendere sicuro lo shopping nei nostri negozi.
Attività pronte per garantire il massimo della sicurezza
Siamo anzi certi di riuscire a garantire standard di rispetto delle norme contro il contagio persino superiori alle realtà di media distribuzione oggi aperte che, comunque, scontano un afflusso decisamente troppo consistente. Un motivo in più per scegliere le nostre imprese. Anche perché tornare alla normalità significa anche riappropriarsi della città, impegnarsi (con responsabilità) per farle vivere. Ma, da solo, il nostro impegno non basta. Oggi siamo ad un “bivio”, sapremo muoverci su una strada che ci conduce verso il futuro e non infilarci su un binario morto solo se riusciremo a ridurre i contagi. Una sfida cui ci dobbiamo approcciare con serietà, coraggio, lealtà e responsabilità.
Chiudere tutti in casa non è sufficiente: servono i test sierologici per tutta la comunità
E non certo pensando che basta chiudere tutti in casa per evitare nuovi ammalati. Questa strategia mostra, già ora, limiti evidenti. Come sistema delle imprese chiediamo che si faccia ogni sforzo per analizzare le ragioni di un trend che ci pone, per incidenza percentuale dei contagi ai vertici non solo nazionali ma mondiali. Non bastano, ormai è chiaro, le forze dell’ordine a bloccare, oltre a qualche irresponsabile, anche il virus. Diversamente torneremmo all’assalto ai forni di manzoniana memoria in cui si incolpavano i produttori del pane per la assenza del grano. Ma, ora, non siamo più nel Seicento e per fortuna c’è una consapevolezza diversa di quello che succede intorno a noi. Oggi la situazione è grave. La Lombardia è uno dei motori d’Europa (oltre che dell’Italia), con tante eccellenze e gente operosa, sicuramente capace di elaborare una efficace strategia di uscita da un’emergenza che sembra non finire mai. Serve a tutti, non solo all’economia. Ora, dunque, è necessario mettere fine alla giravolta sulle responsabilità: dalla disponibilità delle mascherine fino all’uso diffuso dei tamponi, in particolare nelle realtà più a rischio (anche oggi sui media locali il sen. Montini parlava di millecinquecento test effettuati a fronte di una comunità tra degenti e operatori di oltre ottomila persone), per arrivare ad uno screening della popolazione capillare per capire chi davvero è immune e chi, invece, è vettore del contagio. Bisogna fare i test sierologici, e subito. E farli diffusi a tutti. La nostra gente, penso ai risultati ottenuti da «Uniti per la provincia di Cremona» ha dimostrato coesione, capacità solidali, impegno per essere vicino a chi soffre e per sconfiggere il Coronavirus.
Volontà diffusa di riconquistare la “normalità”
C’è una volontà diffusa di ricostruire e riconquistarsi una «normalità». Che non significa, in una “fase 2” essere in fila a un supermercato sorretti dalla disciplina dello sconforto, ad un metro di distanza l’uno dall’altro, minacciati nonostante le mascherine. Potremo recuperare la nostra vita (nella sua accezione più bella e piena) se abbatteremo i contagi e non ci sentiremo oppressi da una pestilenza vaporosa che avevamo potuto solo intuire descritta, ai tempi delle scuole superiori, nelle tragedie greche. Sapremo aprirci a una nuova fase se sceglieremo le piccole attività, quelle che ci accompagnano nel quotidiano, a partire dal primo caffè preso appena usciti di casa; se aiuteremo la città ad essere di nuovo luogo di incontri, di relazioni, di aggregazione e di socialità. Ha detto Antonio Scurati “che quando si guarda fuori dalla finestra vede la fine di un’epoca”. Sia pur vero, ma il mondo che dovremo costruire, non rinunci a una continuità con quello che abbiamo vissuto fino ad ora e che rappresenta la nostra stessa identità.
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